PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47
ISBN: 978-88-6682-240-0
Genere: Saggistica/Aforismi
Prefazione, a cura di Luciano Domenighini
Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio
Curatrice d’opera: Gioia Lomasti
Cover: Francesco Arena
Prezzo: 7,60 €
Parafrasando Shakespeare (cfr. La Tempesta, atto IV, scena I), siamo
fatti della materia di cui sono fatte le stelle: principalmente di atomi di
carbonio e di carbonio sono fatti i diamanti. Immensa come le stelle è la vita,
preziosa più dei diamanti (aforisma 69)
Non
è un saggio né una silloge poetica “Pensieri
minimi e massime” di Emanuele Marcuccio bensì una raccolta di ottantotto
aforismi più una appendice che costituisce parte integrante dell’opera.
L’aforisma
14 è l’enunciazione della poetica di Marcuccio: “Nelle arti, come nella vita,
se c’è spontaneità, c’è anche personalità.” L’autore ci appare come un giovane
che annota i suoi pensieri, “semplici ma profondi”, come egli stesso tiene a
precisare, un giovane d’altri tempi, imbevuto di poesia, da Leopardi, a
Pascoli, a Shakespeare, un giovane che si abbevera alla fonte poetica, che ne
trae consolazione. Non fa mistero del suo bisogno di recuperare uno sguardo
meravigliato sul mondo, il fanciullo pascoliano che è in noi, l’espressione
semplice, le parole povere e ripetute ma non prive di valore, la genuinità di
baci e abbracci in un rapporto d’amore che è anche dialogo, raccontarsi la vita
come dono. È significativa l’insistenza sul concetto di “meraviglia”.
L’autore
alterna questa enunciazione istintiva con riflessioni più articolate, più
intellettuali, forse estrapolazioni e rielaborazioni di saggi, e addirittura
con echi da tragedia greca: “Cupo è il nostro tempo, cupa è la scena di questo
mondo e il nostro sentire in una tempesta si inabissa.” (aforisma 42)
Mentre
riflette sulla lirica, ha barlumi poetici egli stesso: “L’anima del mondo ha
ali ad abbracciare il tutto” (aforisma 32).
Marcuccio
conosce la poesia e le sue figure retoriche, il correlativo oggettivo che passa
da Eliot a Montale - nell’appendice compie, infatti, un notevole e avvincente
excursus attraverso i secoli, da Omero a San Francesco fino a Ungaretti - ma è
convinto che alla base di tutto ci sia, sempre e comunque, l’ispirazione, vista
come folgorazione irrazionale, o meglio pre-razionale, scorciatoia intuitiva.
L’ispirazione è come la grazia divina, un
dono, un capriccio degli dei che investe il poeta, che è solo un recettore, un
vaso che attende l’illuminazione, senza la quale c’è solo arido e sterile
artificio. Il poeta deve porsi in ascolto, attendere questa voce, questa luce
che lo colmerà, che lo trasfigurerà. Solo in seguito potrà rielaborare, limare,
ricostruire il materiale grezzo che è, però, già di per sé diamante.
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