lunedì 29 agosto 2011

Prima recensione (edita), a cura del critico letterario Luciano Domenighini su «Per una strada» (2009)

SBC Edizioni, Ravenna, 2009, pp. 100
ISBN: 9788863470314
Genere: Poesia
Prezzo: 12,00 €

Recensione a cura di Luciano Domenighini


"Per una strada"

La raccolta di poesie "Per una strada" di Emanuele Marcuccio, raccoglie il meglio della sua produzione poetica dal 1990 al 2006. In un arco di tempo così lungo è ravvisabile una evoluzione, soprattutto formale, nel senso della acquisizione di un linguaggio poetico più originale.

Lo stile:
Le poesie di Marcuccio, specie quelle dei primi anni, hanno uno stile composito, con vaghi richiami stilnovistici, epico-rinascimentali, neoclassici, leopardiani. Questo eclettismo, però, è privo di ostentazione; le citazioni e i modi sono sfiorati con leggerezza. Vale la pena, ad esempio, di osservare come il poeta ricorra, e frequentemente, all'elisione. Solitamente, l'elisione è motivata da urgenze metriche, mentre in Marcuccio il suo uso è assolutamente gratuito è un vezzo, una scelta fonetica puramente ornativa.

Le figure retoriche:
La poesia di Marcuccio, avendo, come detto, carattere eclettico ha una certa ricchezza di figure retoriche, anche se prevalgono nettamente figure di soppressione-sottrazione (ellissi, zeugma), o di soppressione-accumulazione (asindeto) oppure di accumulazione, specie quelle reiterative (anafora, epistrofe, paronomasia). Lo schema più frequente è il vocativo, seguito da asindeti o polisindeti multipli, pure associazioni di parole ad effetto "impressionista" in senso descrittivo o elegiaco. Le sequenze in asindeto, hanno effetto subentrante-perfettivo e sono composte da sostantivi, sostantivo-aggettivo, aggettivi o sequenze di verbi transitivi e intransitivi come nel bellissimo "vedi, vive, canta, sussurra." L'impiego di queste figure di accumulazione può avere, come detto, effetto variante-specificante o descrittivo oppure più squisitamente oratorio-enfatizzante, realizzando una "gradatio" emotiva, un vero e proprio climax.

La metrica:
È un poetare libero, polimorfo, ma senza urgenze o scrupoli di ordine metrico. In qualche modo è un poetare istintivo, d'ispirazione, di prima mano. Anche quando l'eloquio poetico si coagula in distici, terzine o persino tetrastici riconoscibili e strutturati in rime o assonanze o paromeosi, sovente il computo delle sillabe, cresce o difetta e la disposizione degli accenti è disritmica. Il tentativo di rima dantesca ("Amor") è sostanzialmente fallito. Altre volte invece il verso è di eccellente struttura metrica (cfr. gli endecasillabi "dolce mi viene all'anima, /cantando" oppure "dell'universo immenso meraviglia"). Ma ciò, quando avviene, avviene per caso, o meglio non avviene intenzionalmente quasi che il poeta seguisse unicamente una sua musicalità del momento.

I contenuti:
Accanto alle numerose composizioni, di impronta prevalentemente moralistica, dedicate a personaggi storici o letterari (notevoli i quattro "omaggi" a Garcia Lorca) i temi prediletti da Marcuccio sono quello paesaggistico-descrittivo, quello amoroso e la poesia civile. Riguardo a quest'ultima merita di essere menzionata "Urlo", dedicata alla tragica fine del giudice Falcone. Con toni rutilanti, epici e tribunizi, il poeta si abbandona sdegnato a una denuncia-condanna senza appello, ricorrendo a un'enfasi tragica quasi omerica, eppure mantenendo, nel messaggio, una chiarezza lampante e inequivocabile.
 
Conclusioni:
Nella pressoché assoluta libertà di impiego di moduli stilistici e soluzioni lessicali, nel lasciarsi guidare dall'ispirazione e dallo spontaneo sgorgare della parola poetica; nel tendere l'orecchio insomma alla musicalità del verso come spontaneamente gli proviene dal cuore e dalla mente, e nel saperla tradurre in versi limpidi e carichi di emozione, sta la caratteristica principale di questo poeta, per conoscere il quale la raccolta "Per una strada", opera prima, pur nella sua varietà stilistica e nella inevitabile impronta esperitiva, rappresenta una fonte preziosa ed esauriente.


a cura di Luciano Domenighini, maggio 2009


Edita in L’arrivista. Quaderni democratici (anno I, Nr. 3), Limina Mentis, Villasanta, 2011, pp. 126-127.
ISBN: 9788895881454 
 

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(Ultimo aggiornamento delle librerie, 26/3/2018)

sabato 27 agosto 2011

Introduzione alla poesia, da Pensieri minimi e massime, pp. 30-32

Il termine “poesia” è una parola che deriva dal verbo greco “ποιέω” (poiéo), che significa “faccio”, “costruisco”, quindi, il poeta è colui che fa, costruisce (con le parole).
Ma come è nata la poesia? Come nasce nell’uomo il bisogno di poesia e di fare poesia?
A mio modesto parere, la poesia nasce per un bisogno intimo di celebrare, di cantare costruendo con le parole, infatti, il primo componimento poetico della letteratura italiana è il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi (XIII sec. d.C.), in questa poesia, in questo cantico il poverello di Assisi celebra, loda Dio attraverso tutte le sue creature.
Ma, andiamo a monte, come nasce la poesia in genere, in particolare, la poesia occidentale?
Le prime testimonianze di poesia nella letteratura greca ci giungono dai poemi omerici (Iliade e Odissea), risalenti a ca. un millennio prima della nascita di Cristo, dapprima tramandati oralmente attraverso gli aedi e i rapsodi, cioè i trovatori, i cantastorie del tempo, successivamente, trascritti, anzi, si ritiene che l’alfabeto greco sia stato inventato proprio per trascrivere i poemi omerici, il cui autore, Omero, è probabile non sia mai esistito, ma che sia, in realtà, il prodotto culturale di una collezione di autori anonimi, anzi, proprio per risolvere questo dilemma è nata la cosiddetta “questione omerica”, tuttora ben lontana dall’essere risolta.
L’Iliade, con le sue migliaia di versi, vuole celebrare, in particolare, gli ultimi cinquantuno giorni della decennale guerra di Troia e i suoi signori, vuole anche cantare i sentimenti più profondi dei protagonisti. Mentre, l’Odissea vuole celebrare il periglioso viaggio di ritorno, successivamente alla caduta di Troia, di Odisseo (Ulisse), leggendario re dell’isola di Itaca, per la precisione gli ultimi 38-40 giorni escludendo i racconti di flash-back. Nel suo significato profondo, penso voglia celebrare la lotta dell’uomo con se stesso per vincere i fantasmi della guerra che lo attanagliano e poter così finalmente ritornare a casa ritrovando la pace dopo un’ultima lotta.
A differenza dell’Iliade, nell’Odissea abbiamo una celebrazione, un canto più intimo, quello del cuore umano, che combatte con se stesso ed è continuamente messo alla prova sopportando tutto con pazienza e agendo con astuzia.
Dunque, l’intento della poesia è sempre quello di celebrare, costruendo un’architettura di parole nei più vari registri, dai più intimistici e introspettivi ai più altisonanti. Cosicché, se la poesia fa parte del nostro essere, anche noi possiamo celebrare, in questo caso è più corretto dire “cantare”, i più intimi sentimenti, le nostre più profonde emozioni. Possiamo celebrare anche cose astratte ma che nascondono in sé cose umanissime ricorrendo al concetto poetico del correlativo oggettivo, diffusissimo nella poesia moderna ed elaborato dal poeta statunitense e naturalizzato inglese T. S. Eliot (1888-1965) nel 1919, di modo ché, anche i concetti e i sentimenti più astratti vengono correlati in oggetti ben definiti e concreti. Eliot dichiarò che il correlativo oggettivo è “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che saranno la formula di quella emozione particolare, in modo che, quando siano dati i fatti esterni, che devono condurre ad un’esperienza sensibile, venga immediatamente evocata l’emozione”.
Nella poesia italiana questo concetto troverà la sua più alta espressione nella poetica di Eugenio Montale (1896-1981), che utilizzò un correlativo oggettivo per intitolare una sua raccolta Ossi di seppia; infatti, tutti gli elementi della natura possono essere messi in correlazione a condizioni spirituali e morali.
Possiamo celebrare un personaggio storico, un letterato, un accadimento contemporaneo, un personaggio letterario o un suo episodio, in una parola “tutto”. Ogni poesia, però, dovrà scaturire dall’ispirazione, da quella scintilla creativa che ci fa prendere la penna in mano e ci fa scrivere quello che il cuore detta. E, affinché la poesia sia vera e sincera deve esserci questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola, o il suono e starci tutto il tempo che ci sarà necessario. In caso contrario, diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione del proprio sentire; come scrivo in un mio aforisma (il numero quarantuno): “La poesia non è puro artificio, non è sterile costruzione ma piacere per gli occhi e per il cuore, qualcosa che ci meraviglia e ci colma d’interesse, che ci spinge a ricercar nuovi lidi, dove far approdare questo nostro inquieto nocchiero che è il nostro cuore”. E in un altro (il numero quarantatré): “Il poeta sogna, si emoziona, si meraviglia; in caso contrario, tutto sarebbe puro artificio, sterile e fredda creazione, come voler scrivere su di un foglio di vetro.
Tutto questo, nella sua essenza, è in definitiva la poesia: un canto dell’anima, un canto senza l’ausilio di strumenti musicali, la musica ci è data dalle parole (con o senza rima) che cercano di esprimere quello che l’anima detta, che è sempre un cercare di esprimere, come ci insegna Ungaretti in una famosa intervista televisiva del 1961, non si potrà mai arrivare all’espressione compiuta della propria anima.


ISBN: 978-88-6682-240-0.


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sabato 13 agosto 2011

Sul mio fare poesia





Sul mio fare poesia[1]

Una cronistoria 

A cura di Emanuele Marcuccio



Scrivo poesia dal 1990 (per la precisione, dal 1989 ho iniziato con degli esercizi); nell’agosto 2000 ventidue sono state pubblicate dalla milanese Nuovi Autori nel volume antologico Spiragli 47 e nel marzo 2009 è uscita la prima raccolta[1].
Non scrivo in rima per scelta, essa per me blocca o vincola l’ispirazione poetica, su più di centocinquanta poesie, ne ho scritto solo tre interamente in rima, e in rima libera. In altre, se la rima raramente è presente, è solo spontanea; la rima libera non spontanea l’ho utilizzata soltanto in una lirica per puro sperimentalismo stilistico.
Nella mia poesia ci sono tre punti fermi: la spontaneità, la musicalità, la fluidità del verso. Il mio ideale poetico si esprime nell’essere semplice e al tempo stesso profondo; cerco anche la musicalità del verso, cosa oltremodo difficile, se non si scrive in rima.
Quando uso dei termini che possono apparire un po’ antiquati, degli arcaismi, lo faccio unicamente per la loro insita musicalità, non perché io voglia servirmi di un linguaggio anacronistico. Nelle mie poesie alcune volte ho usato delle parole con sillaba tronca (applicando delle apocopi) come “cuor”, “cor”, “duol”, “dolor”, altre volte non le ho usate; di conseguenza, ogni mio verso, ogni mia parola non sono lì nella pagina in maniera casuale, ma seguono un fine musicale, sono scelti per una maggiore scorrevolezza nel ritmo. Ad esempio, nella lirica “Indifferenza[2] ho adoperato sia l’espressione “duol”, sia l’espressione “dolor” e, nella lirica “Là, dove il mare...[3] ho cercato di far sì che il ritmo si alzi e si abbassi, quasi ad imitare il flusso e il riflusso delle onde del mare e quelle apocopi sono state scelte per mantenere quel ritmo e quel particolare suono.
Nel fare poesia seguo una struttura su due fasi fin dal 1990. La prima è quella che io chiamo “primo fuoco dell’ispirazione”, la quale può giungere in qualsiasi momento con l’affiorare alla mente dei primi versi o di uno solo; quindi, li appunto su di un qualsiasi foglio o pezzo di carta (Giuseppe Ungaretti appuntava le sue poesia anche in trincea utilizzando la carta che avvolgeva le cartucce) e, mentre scrivo, penso i successivi versi da vergare su carta. La seconda e ultima fase si riferisce alla ricopiatura nel quaderno, aggiungendo a volte, anche dei nuovi versi o parole; in seguito, durante la correzione di bozza e in previsione della pubblicazione potrei operare dei piccoli cambiamenti variando o sostituendo qualche parola, la disposizione dei versi, a volte anche gli accapo perché, quello che cerco, oltre alla freschezza della spontaneità che è la prima cosa, è la fluidità e la musicalità del verso, senza quasi mai usare la rima, servendomi di giochi fonetici delle consonanti e coloristici delle vocali giungendo in alcune poesie alla metrica spontanea (come ha notato il critico letterario Luciano Domenighini, nella sua recensione[4] alla silloge Per una strada e, in maniera più articolata, nell’inedito saggio[5] critico-antologico), senza mai stravolgere il senso e l’ispirazione primigenia. Metrica spontanea nel senso di lassa e non di strofa, la quale, non potrà mai essere spontanea. Precisamente, da ca. sette anni, dopo aver riportato la poesia su un foglio di carta, non la ricopio subito nel quaderno (un quaderno dalla copertina nera, che utilizzo fin dal dicembre 1999), ma lascio che passi anche una settimana o un mese mettendo il foglio in mezzo al “quaderno nero”, come se volessi far “decantare” la poesia.
Diverso è stato il caso della unica poesia[6] scritta in rima non spontanea, in cui dapprima è arrivato il “primo fuoco dell’ispirazione” con i primi due o tre versi, successivamente mi sono dedicato alla ricerca della rima e al tipo particolare di rima (forse la più difficile, quella incatenata, senza però impiegare la metrica sillabica quantitativa, quindi, in rima libera), alla proprietà di linguaggio ovvero quello dell’italiano antico (il volgare trecentesco di ascendenza stilnovista) con l’applicazione delle figure retoriche più adatte. Questa volta tre fasi, e sono stati sufficienti soltanto due giorni; scritta nel ‘94 mentre mi preparavo agli esami di Maturità Classica e vocaboli danteschi frullavano impazziti nella mia mente, bisognava farli uscire, quasi per un bisogno fisiologico.
Utilizzo le figure retoriche e cerco di impiegarle in maniera spontanea (credo che non sia possibile scrivere poesia senza utilizzare almeno una figura retorica), ho utilizzato anche lo zeugma, presente molto in Dante. La figura retorica che uso di più è però l’enjambement, mi piace molto l’anafora e indulgo all’elisione, sempre per esigenze di fluidità del verso e musicalità.
Una poesia, “Per una strada[7], dapprima l’ho appuntata su uno scontrino della spesa, poiché mi trovavo per strada; trattasi di una poesia sulla propria ispirazione poetica. Da questa ho ricavato il titolo della prima raccolta, pubblicata il ventisei marzo 2009 dalla ravennate SBC. Cito dalla prefazione che ho dovuto scrivere io stesso (in caso contrario il mio libro ne sarebbe rimasto privo):

Con questa mia, apparentemente semplice poesia, scritta dapprima su un semplice scontrino, poiché mi trovavo per strada e non avevo null’altro su cui scrivere, ho cercato di esprimere proprio il processo misterioso della mia ispirazione poetica.
E pensare che, all’inizio non l’ho compreso nemmeno io il suo significato profondo.
Quanto mi sembrarono quasi insignificanti quei versi, e invece, mi sono accorto, con mia grande sorpresa, che nascondevano il significato stesso della mia ispirazione furtiva e svelta, che passa e vola via e, se non l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i miei versi che metto sulla carta, passa e vola via, e non si sa più dove mai sia.[8]

A partire dal 2013 abbandono la punteggiatura dopo due esempi isolati nel 2010 con le liriche “Trascinarsi[9] e “Supersonica[10]. Attualmente la mia poesia è alla ricerca dell’essenzialità e dell’estrema sintesi, cadono, dunque, anche le complicazioni sintattiche, le pause sono sostituite dagli accapo e dal doppio accapo, in cui rilevo maggior respiro. Così, dopo l’abbandono della punteggiatura ho abbandonato anche l’incipit con lettera maiuscola, a riprova di ulteriore sintesi ed essenzialità, come a sottintendere un verso e tutti i versi precedenti, quasi in un continuo richiamo tra explicit e incipit. Tuttavia, come ha già rilevato in un suo saggio[11] il critico Domenighini, non credo ci sia rivoluzione ma solo evoluzione; rari prodromi di estrema sintesi (eccettuato l’abbandono della punteggiatura) sono rilevabili nella mia produzione precedente, soprattutto nella silloge Per una strada.
A partire dal 2015, col senno di poi, ho sentito il bisogno di rivedere alcune poesie degli esordi, ovvero scritte tra il 1990 e il ‘96; una operazione di alleggerimento della carica retorica ma senza mai snaturarne l’ispirazione originaria.
Sempre Domenighini ha definito il mio attuale ‘modus poetandi’, con l’espressione di “ermetismo cosmico”. Così si è espresso il critico a riguardo:

“Ermetismo” perché il dettato è a un tempo sintetico e codificato, iniziatico, a tratti sibillino. Certe soluzioni originali e inedite del suo linguaggio poetico d’altra parte, vanno in questa direzione. “Cosmico” perché, rispetto alla sua poesia di una volta, si inoltra in una dimensione cosmica, spaziale, astrale, ultraterrena.

Mentre il critico letterario Lucia Bonanni così si è espresso in un suo saggio sulla mia poesia:

La sua ispirazione poetica è “un’ispirazione drammatizzata” in cui egli si apre agli stimoli che gli giungono dall’esterno come ai luoghi della mente e alle nebulose che avvolgono la memoria e il ricordo, regalando sempre felicità al lettore. Il suo lavoro è imperniato sul voler capire fino in fondo i segreti che una strada, la gente, un albero, il mare, il sole, le navi, le case, gli amici e tutte le vicende umane possono trasmettere e rivelare così immediatezza di scrittura e la responsabilità verso l’attitudine dello scrivere. [...] Con i suoi scritti offre senso di appartenenza, incuriosisce, si traspone nell’altro e fa vivere speranze in un modo ricco e profondo. Come afferma Mallarmè “Ogni cosa nel mondo esiste per essere inclusa in un libro” e Marcuccio nei suoi libri, oltre a se stesso, include l’Umanità intera.[12]

L’essenza della poesia è la sintesi, non intesa nel numero dei versi (anche una poesia lunga deve avere sintesi), nessun verso in più né uno in meno che pregiudichi il suo respiro; deve avere musicalità (non dettata unicamente dalla rima), respiro; se poi eliminiamo anche i luoghi comuni, le frasi fatte, c’è perfetta poesia. Non deve però mancare la spontaneità del “primo fuoco dell’ispirazione”, in caso contrario, tutto si risolverebbe in un freddo artificio formale.
Secondo Domenighini, “Dolore[13] (la poesia più breve che io abbia mai scritto e che consta di soli due versi) rappresenta il vertice letterario di tutta la raccolta Per una strada, come ha ben evidenziato nel suddetto saggio critico-antologico sulla silloge:

Il distico (di sette, dodici sillabe) in rima, da un punto di vista strettamente letterario, è il vertice di Per una strada. Un distico di ungarettiana brevità, un esempio della complessità formale di questo poeta, ossia di come Marcuccio sappia adunare e condensare in poche parole svariati riscontri metrici e retorici.[14]

Un caso a parte è stata la scrittura del dramma in versi liberi[15], ambientato in Islanda e completato il diciannove aprile 2016, dove, per seguire una trama, non ho potuto conformarmi alla spontaneità, alla facilità dell’immediatezza espressiva, come ho fatto di solito nella mia poesia; la spontaneità però rimane la prima idea, il “primo fuoco dell’ispirazione” che, negli anni ha subito vari ripensamenti e successive modifiche formali. Ho sempre atteso l’ispirazione per scriverlo, non mi sono mai seduto a tavolino pensando - adesso scrivo - e sono trascorsi quasi trent’anni da quell’abbozzo dapprima in prosa del solo primo atto (1989) alla sua stesura definitiva e pubblicazione nel 2017; precisamente sono stati ben diciannove anni di lavoro escludendo i sette complessivi di interruzione.
Dal momento che la poesia fa parte del mio essere, la prosa non è nelle mie corde (preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto né un romanzo; ho scelto quindi il teatro e un dramma in versi liberi per cercare di esprimere la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la poesia che il cuore mi detta, cesellando il verso, sempre alla ricerca della migliore musicalità e fluidità nel ritmo, nella cadenza e alla lettura. Versi liberi e non certo anarchici, versi di varia lunghezza, sorretti da una diversa metrica, costituita non dal numero delle sillabe o dalla rima ma da assonanze, consonanze, figure di suono e dalle necessarie figure retoriche, da quello che viene chiamato “ritmo semantico”; con tutto il rispetto per i grandi poeti della nostra letteratura, i quali, fino all’Ottocento hanno fatto largo uso di metrica quantitativa, al punto da comprendere che il suo impiego non era più necessario.
E se nella poesia tout court, da tempo ho abbandonato la punteggiatura, sempre alla ricerca di una maggiore sintesi ed essenzialità, nella poesia del dramma non mi è stato possibile farlo, in quanto lo ha richiesto l’ars narrandi, la quale ha dovuto sottostare al dolce giogo dell’ars poetandi.

La poesia bisogna ascoltarla e non semplicemente leggerla, bisogna leggerla ad alta voce per sentirne tutta la musicalità e fluidità, soprattutto rispettando gli accapo; così, capiremo se quell’accapo andava proprio lì o se quel segno di interpunzione è corretto in quella posizione, o se quel verso va bene o va modificato. La poesia è ribelle alle regole della prosa e della sintassi in genere, ribelle anche ai segni d’interpunzione, le pause della poesia non sono le pause della prosa; in poesia ogni singola parola deve essere considerata in relazione al ritmo e alla sonorità nel verso, ogni parola non è soltanto significato ma soprattutto significante: il suono, il segno grafico, l’emozione in cui ci trasporta la poesia.
Scrivo ancora nella prefazione alla raccolta Per una strada:

La poesia non bisogna semplicemente leggerla, ma sentirla, ascoltarla; non nel senso di ascoltare una recita, ma leggerla con il cuore, interiorizzarla, farla propria, renderla partecipe delle proprie emozioni.
Le sue interpretazioni non si esauriscono in una sola, non sarebbe più poesia, ma della prosa travestita di versi con degli “a capo” dati a caso.
Non è necessaria la metrica e la rima per fare poesia, ma basta un certo accostamento di parole, di frasi e di suoni, aperti alle molteplici interpretazioni; bisogna anche che il poeta metta del suo, anche se in maniera trasfigurata. Il difficile è saper disporre il tutto in una maniera tale per far sì che, chi legga o ne ascolti una recita, senta la poesia.[16]

La poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni; la poesia riesce a portare allo scoperto l’anima, come scrivo in “Sé e gli altri”, riesce a portare allo scoperto “l’obliato proprio sé fanciullo[17]. La poesia è anima che si fa parola, la poesia riesce a far conoscere se stessi, riesce ad interrogarci, riesce a farci riflettere, riesce ad emozionarci, riesce a rendere l’ordinario straordinario, fa sì che l’oggi non si perpetui nello ieri e, in qualche maniera, contribuisce a migliorarci, a renderci più sensibili nei confronti degli altri. La poesia, infatti, è piacere per gli occhi e per il cuore, qualcosa che ci meraviglia e ci colma d’interesse, che ci spinge a ricercar nuovi lidi dove far approdare questo nostro inquieto nocchiero che è il nostro cuore.
La poesia si nutre di sogni e il poeta non è solo un cultore di sogni ma, sogna, si emoziona e si meraviglia lui stesso; spesso vorrebbe perdersi in quei sogni, ma deve ritornare alla realtà, alla dura realtà che usa come filtro e come ancora per non annegare. La poesia si nutre anche di musicalità, di armonia tra le parole, senza necessariamente fare uso di metrica quantitativa o di rima. D’altra parte, quella che non deve mancare è una metrica qualitativa (cadenza, ritmo, figure di suono, di significato, etc.)
Come ho scritto sopra, la narrativa e la prosa in genere, preferisco leggerla e non scriverla, tuttavia, anche nella prosa possiamo trovare poesia, anzi, la poesia, nella sua accezione più ampia, non è specificatamente legata ai versi ma all’arte in genere, quindi, anche alla musica, sia classica che leggera; la poesia è ciò che si avvicina di più alla musica. Cito un altro mio aforisma:

Penso che la musica sia la forma di espressione umana più alta e superiore a tutte le arti, anche alla poesia. Grazie alla musica, nella sua grandezza e profondità, possiamo arrivare persino ad intuire l’universo.[18]

Ovviamente, mi riferisco alla musica, nella sua grandezza e profondità, non certo a musica da semplice intrattenimento, e cito ancora dalla prefazione a Per una strada:

La poesia è la forma verbale più profonda che possa esistere, per esprimere i più reconditi sentimenti umani.
Se invece vogliamo parlare di espressione umana in senso generale, la musica per me supera tutte le arti, a patto che sia musica con la “M” maiuscola.
Ecco perché musicare una poesia è qualcosa che supera ogni immaginazione.[19]

Quanta poesia possiamo ascoltare ad esempio in una canzone di Battisti come “I giardini di marzo” o in un’Opera di Puccini, o in un notturno di Chopin, o quanta poesia possiamo ammirare ad esempio nella Gioconda di Leonardo o nella Pietà di Michelangelo.
La poesia non è mera imitazione della realtà, non è sua fredda riproposizione, essa deve avere sempre un senso universale e utilizzare volgarità, turpiloquio in una poesia, prima di tutto è illogico perché è quanto di più particolare e ordinario possa esserci, poi è di cattivo gusto e denota poca creatività per esprimere rabbia e quant’altro. La poesia è “rappresentazione”, nel senso di interpretazione soggettiva della realtà e, quindi, nel senso di sua ri-creazione e trasfigurazione.
Non si potrà mai dare una definizione definitiva di poesia ma solo innumerevoli interpretazioni, lo stesso verbo “definire” vuole tracciare dei confini ma la poesia non ha confini, il suo spirito vivrà sempre e la sua voce cavalcherà i millenni. E un poeta non è mai mero cronista di ciò che attentamente osserva, non è mai impersonale messaggero bensì è interprete soggettivo, che ri-crea, trasforma, trasfigura sogni, storie, emozioni.
E, come scrivo in un altro aforisma:

Un poeta non deve mai lasciarsi condizionare dal marketing, dal consumismo o dalle mode del tempo, la sua ispirazione non sarebbe più spontanea e sincera, deve bensì lasciar parlare la propria anima, senza alcun condizionamento.[20]

Quindi, nessuno può dirmi di scrivere un romanzo perché così ci sarebbero più lettori, mancherebbe però la cosa più importante: l’ispirazione.


Emanuele Marcuccio

Palermo, 24 marzo 2018

Riferimenti bibliografici

AA.VV., L’arrivista. Quaderni democratici (anno I, Nr. 3), Limina Mentis, Villasanta, 2011.
AA.VV., Rassegna Storiografica Decennale. IV, Limina Mentis, Villasanta, 2018.
Domenighini, Luciano, Metrica spontanea e raffinata in «Per una strada» di Emanuele Marcuccio, “drive.google.com”, 2015, www.drive.google.com/open?id=1xRMgnlsHVaiJo1_xX-AGbtr48ipWqJfS (PDF)
Marcuccio, Emanuele, Per una strada, SBC, Ravenna, 2009.
Marcuccio, Emanuele, Pensieri Minimi e Massime, Photocity, Pozzuoli, 2012.
Marcuccio, Emanuele, Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, Sesto Calende, 2014.




[1] Emanuele Marcuccio, Per una strada, SBC, Ravenna, 2009, pp. 100.
[2] Ivi, p. 60.
[3] Ivi, p. 96.
[4] Luciano Domenighini, Emanuele Marcuccio, Per una strada, in AA.VV., L’arrivista. Quaderni democratici (anno I, Nr. 3), Limina Mentis, Villasanta, 2011, pp. 126-127.
[5] Id., Metrica spontanea e raffinata in «Per una strada» di Emanuele Marcuccio, 2015, pp. 51, “drive.google.com”, www.drive.google.com/open?id=1xRMgnlsHVaiJo1_xX-AGbtr48ipWqJfS (PDF)
[6] Emanuele Marcuccio, Op. cit., pp. 52-53.
[7] Ivi, p. 77.
[8] Ivi, p. 10.
[9] Id., Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, Sesto Calende, 2014, p. 28.
[10] Ivi, p. 30.
[11] Luciano Domenighini, La poesia del 2013 e quella giovanile: un confronto, in Emanuele Marcuccio, Op. cit., pp. 49-54.
[12] Lucia Bonanni, L’Anima di Poesia di Emanuele Marcuccio, dolce poeta. Lettura del suo mondo poetico, partendo dall’analisi della silloge, Anima di Poesia, in AA.VV., Rassegna Storiografica Decennale. IV, Limina Mentis, Villasanta, 2018, pp. 83-84.
[13] Emanuele Marcuccio, Per una strada, SBC, Ravenna, 2009, p. 46.
[14] Luciano Domenighini, PDF cit., p. 32.
[15] L’opera è uscita il ventotto agosto 2017: Emanuele Marcuccio, Ingólf Arnarson. Dramma epico in versi liberi. Un Prologo e cinque atti, Prefazione di Lorenzo Spurio, Postfazione di Lucia Bonanni, con una Nota storica di Marcello Meli, Quarta di copertina di Francesca Luzzio, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2017, pp. 188. [N.d.C.]
[16] Emanuele Marcuccio, Per una strada, SBC, Ravenna, 2009, pp. 9-10.
[17] Ivi, v. 7, p. 68.
[18] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, Pozzuoli, 2012, n. 36, p. 13.
[19] Id., Per una strada, SBC, Ravenna, 2009, p. 9.
[20] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, Pozzuoli, 2012, n. 25, p. 11. 


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venerdì 12 agosto 2011

2000 alberi abbattuti per un campo da golf? No, grazie!

 
Diciamo NO alla costruzione del campo da golf in Pineta
A Santa Maria Maggiore, in Val Vigezzo, provincia di Verbania, vogliono abbattere una pineta secolare di 2000 alberi per far posto ad un campo da golf. Invito tutti , amanti della natura a firmare questa petizione per impedire un ennesimo scempio della natura. Grazie per tutto l'aiuto che vorrete e potrete dare sensibilizzando tante altre persone. 
E a voi una mia poesia, dedicata agli alberi, dalla mia raccolta Per una strada, sbc edizioni, 2009.

Alberi al vento 

Verdeggia per l’ampio cielo
la loro chiara aura serena,
svettano violenti
all’immane tempesta;
fermi e piantati rimangono,
mai cedono:
sol l’ampia terra oscura
e gl’infuocati suoi recessi
alfin, li fan recedere.

(3/12/1998)

(Dalla mia raccolta Per una strada, pag. 78, SBC Edizioni, Ravenna, 2009)

Spesso gli alberi resistono alla tempesta ma non a quella oscura dell’uomo…

Based on a work at www.emanuele-marcuccio.com.



Vi riporto il testo della nota, scritta da Jessica, di Santa Maria Maggiore, che ama molto la sua valle.

"Gli alberi sono le colonne del mondo. Quando tutti gli alberi saranno tagliati, il cielo cadrà sopra di noi."
Dice un vecchio detto indiano.
Mi sto muovendo, ci stiamo muovendo tutti insieme per cercare di fermare l'ennesimo errore che l'uomo commette senza ragionare verso la Natura e verso, in questo caso, il nostro territorio.
Vorrei avere il potere di valorizzare la Valle Vigezzo per quello che ci offre, non per quello che vogliono togliere e costruire. Vorrei avere i soldi e la possibilità di regalare qualcosa ai giovani, che ogni fine settimana se ne vanno via dalla Valle Vigezzo perché non c'é nessun divertimento, se non i soliti bar.
Abbiamo pensato a molte alternative, che pensiamo siano più interessanti e ragionevoli.
Piscina coperta: coprire la piscina presso la Pineta, in modo che sia utilizzabile durante il periodo scolastico, così, anziché scendere a Domodossola per farsi una nuotata, i ragazzi e i residenti possono tranquillamente restare in Valle Vigezzo. Oppure quando piove in estate e fa caldo, essendo coperta, può comunque essere utilizzata.
Ricostruzione del Capanno dei Pini: rimettere in piedi la discoteca del Capanno dei Pini. Non c'è molto da dire su questo. Ci sarebbe più divertimento per i residenti e porterebbe qualche persona in più in Valle Vigezzo, in tutto il periodo dell'anno.
Biblioteca: avere a disposizione una bella biblioteca, dove chiunque possa andare a leggere o studiare, ritrovarsi con gli amici per fare i compiti insieme. 
Internet Point: magari sempre all'interno della biblioteca, un centro con computer e connessione internet per la gente che purtroppo non gode di questo servizio a casa. Sarebbe comodo anche per i ragazzi che vanno a scuola, per ricerche, compiti e tesine.
Sala prove: per chi suona, per chi ama la musica, per chi si riunisce con gli amici per suonare ma non ha lo spazio e il permesso, si potrebbe creare una sala prove, senza dover scendere sempre a Domodossola, avendo problemi con i mezzi e con gli orari.
Pensiamo anche alla gente che lavora fuori dalla Valle Vigezzo, diamo più posti di lavoro!!!

E voi, spendereste tutti quei soldi per un inutile campo da golf?
Causando l'abbattimento di tutti quegli alberi?

Stiamo parlando di un campo da golf che verrà costruito in Pineta, che verrà incentivato dai soldi della regione, che verrà utilizzato in grandi linee per i due mesi estivi (togliendo il fatto che a luglio ha sempre piovuto), dove ne faranno uso poche persone e tutti villeggianti. In inverno sarà ricoperto dalla neve e inutilizzabile fino a marzo, per non parlare dei costi del mantenimento: la rimessa a posto per riaprirlo in stagione, per l'erba che dev'essere sempre in ordine e tagliata sempre (ricordando che il territorio dove verrà costruito è una zona boscosa, dove crescono rovi e felci). 
Un campo a 9 buche. Minimo minimo per essere un bel campo da golf deve avere 18 buche, per fare le cose o si fanno bene o non si fanno!
Si lamentano tutti perché i giovani dalla Valle Vigezzo se ne vogliono andare e avete ancora il coraggio di aprire bocca?
Siete voi che ci state allontanando, siete voi che pensate alle vostre tasche, siete voi che state rovinando la Valle Vigezzo.


Fioccano poesie... e potremmo pubblicare le tue!

"Il Bibliotecario" di Giuseppe Arcimboldo (1527–1593)
Ho accettato la proposta di collaborazione free-lance con una casa editrice, come scopritore di poeti e poetesse meritevoli di pubblicazione e, a questo proposito ho creato un gruppo su facebbok, che ha superato i trecento membri. Sì, avete capito bene, un libro di poesie con il vostro nome e cognome (eventualmente con il vostro pseudonimo).
Se avete una raccolta in un cassetto (almeno venti poesie, consigliate almeno trenta), o desiderate pubblicare la vostra prossima raccolta, non esitate a contattarmi tramite la mia mail “marcuccioemanuele@gmail.com”; ad esempio, una poetessa ha pubblicato a novembre 2010 la sua quinta raccolta di poesie, di cui ho scritto la prefazione e, a febbraio 2011 un poeta, nonché membro del suddetto gruppo, ha pubblicato la sua seconda raccolta, a ottobre 2011 ne è uscita una terza, l'autrice, anche lei membro di questo gruppo, è alla sua prima raccolta, il titolo è Petali d'acciaio e ne ho scritto la prefazione; una quarta raccolta è uscita ad agosto 2012, con prefazione a mia cura. Eseguirò una prima selezione dei testi che mi invierete e, solo in caso di valutazione positiva, farò leggere i testi alla direttrice di collana, però, solo all’editore spetterà l’ultima parola.
Proprio perché potrebbe esserci una selezione, consiglio che le poesie siano almeno poco più di una ventina e massimo novanta (massimo quaranta è il mio consiglio), meglio non caricare troppo un libro di poesie, non è un romanzo.
Le poesie inviate per una eventuale pubblicazione devono essere assolutamente inedite, cioè mai stampate in libri dotati di codice ISBN; quanto detto non vale se il libro è privo di ISBN, come spesso succede nelle antologie di concorsi.
Nel caso in cui vogliate lo stesso pubblicarle, anche se già edite, documentatevi se avete firmato qualcosa e/o se il contratto editoriale è scaduto.
Solo in questo caso possiamo inserire quei testi in un'opera edita ed è comunque consigliabile menzionare la fonte.
Inviate la vostra possibile raccolta di poesie (solo in lingua italiana, non in vernacolo) in un file word A5, esclusivamente con estensione (.doc), non (.docx), non (.pdf), con carattere “Garamond” e mettete “12” come dimensione, separate le poesie, non inseritene due nella stessa pagina (pagina intesa come facciata), non date tante invii per passare alla pagina successiva ma, dal menu “Inserisci” di word, cliccate su “Interruzione di pagina”; mettete in grassetto il titolo di ogni poesia e chiamate il file “Poesie di” facendo seguire il vostro nome e cognome (es. “Poesie di Mario Rossi.doc”), con il nome dell'Autore e il titolo della raccolta poetica sulla prima pagina del file.
Per facilitarvi il compito qui un modello di word, basta scaricarlo, aprirlo e salvarlo con nome.
Al momento dell'invio della raccolta non ci occorrono i dati dell'Autore, questi verranno richiesti successivamente dalla casa editrice. Eventualmente inserite anche un vostro curriculum letterario.
Qui anche una guida alla redazione che, consigliamo caldamente di leggere, per adeguare il vostro file agli standard editoriali.
Una preghiera: non inserite volgarità o scurrilità in genere e tantomeno offese al sentimento religioso di qualsiasi fede nelle vostre poesie, personalmente la reputo una violenza alla poesia stessa e la direttrice di collana le scarterebbe sicuramente, grazie per la collaborazione.
Ci sono tanti vantaggi che non vi sto qui ad elencare ma, sarò lieto di illustrare a tutti i possibili autori interessati. Promettiamo pubblicità e visibilità su canali online e vi seguiremo e consiglieremo per il meglio.
Io ho pubblicato nel 2009 la mia raccolta di poesie con un’altra casa editrice e, nel giugno 2012 ho pubblicato il mio secondo libro, una silloge di aforismi.
Ho in cantiere un terzo libro, una seconda raccolta di poesie e un quarto, un dramma epico in versi liberi, ambientato nella meravigliosa Islanda, non siete curiosi?
Se sì, andate qui, su questa pagina introduttiva.
Quindi, perché non dare la possibilità ad altri autori meritevoli di pubblicare le loro poesie?
Ecco perché ho accettato una tale proposta, principalmente per quest'ultimo motivo! Ovviamente, non mi baserò sul mio stile personale di scrittura per valutare le poesie, però, la poesia ci deve essere e al di là di qualsiasi stile (rima, uso di segni d'interpunzione o meno, etc).

(Ultimo aggiornamento, 28/10/2012)
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